Campo tedesco nazista di concentramento e di sterminio Auschwitz-Birkenau |
L’uso
del termine “campi di sterminio polacchi”, anche nel senso dell’indicazione
geografica, è inaccettabile, in quanto nel periodo della seconda guerra
mondiale lo Stato polacco era sotto occupazione. Una parte di esso
è stata
annessa direttamente al Terzo Reich, una
seconda parte riguarda il territorio che fu proclamato Governatorato
Generale tedesco, la terza parte è stata occupata dall'Unione Sovietica. La Polonia e i suoi cittadini furono dunque le vittime
del nazismo.
Uniche autorità
legali e riconosciute nella Polonia occupata furono il Governo Polacco
in Esilio (prima in
Francia, poi a Londra) e il Consiglio Nazionale (organo funzionante in sostituzione
del parlamento). Nelle strutture clandestine
dello stato polacco nei territori occupati funzionavano anche delle
organizzazioni che aiutavano gli ebrei polacchi, come
Żegota (Consiglio per gli aiuti agli ebrei). Nei confronti dei
collaborazionisti polacchi venivano emesse delle sentenze
di morte, eseguite dalla resistenza.
Nel
Governatorato Generale vigevano leggi particolarmente severe nei confronti di
chi aiutava o nascondeva persone di religione ebraica: un reato punibile con la morte, esteso, oltre al colpevole,
anche alla sua famiglia e al vicinato. La punizione
prevedeva impiccagioni pubbliche ed esecuzioni
di massa. Ci sono esempi di intere famiglie e di villaggi che hanno pagato con
la morte e la distruzione l’aiuto da loro dato agli ebrei.
L’onorificenza
“Giusti tra
le nazioni” è stata assegnata finora a 6.532 polacchi,
cioè a circa il 26%
di tutte le persone del mondo che l’hanno ricevuta (25 685).
Nonostante le accuse di antisemitismo (cresciuto
tra le due guerre, cosa che creò un clima favorevole e i presupposti per la Shoah),
la verità è che la maggioranza dei cittadini polacchi ha mantenuto un
comportamento “neutrale” nei confronti dello sterminio, in quanto loro stessi vivevano
nel terrore nazista e nel pericolo di morte. Bisogna sottolineare che i cittadini polacchi non
collaboravano con gli occupanti tedeschi.
“La
fabbrica della morte” realizzata
dall’apparato nazista del Terzo Reich poteva contare su oltre 42 mila
strutture. Sul territorio polacco occupato fu allestita
dalla polizia nazista una fitta rete di migliaia di campi di prigionia, di smistamento
e di lavoro, dove furono deportati oppositori polacchi, prigionieri polacchi di
guerra, l’inteligencja polacca,
proprietari di fabbriche, insegnanti, religiosi ed anche bambini rimasti orfani
che non avevano i requisiti per la germanizzazione.
Il
primo campo di questo tipo fu aperto il 9 ottobre 1939 nella mia città natale Lodz
- che all’epoca della seconda guerra mondiale fu denominata dai tedeschi Litzmannstadt - fu chiamato Radegast e durante la guerra aveva avuto
varie trasformazioni. Nella prima fase servì come prigione temporanea per le
vittime dell’Intelligenzaktion
Litzmannstadt (l’azione di sterminio di tutta la classe dirigente e intellettuale
della città e delle sue zone limitrofe, che attraverso le esecuzioni di massa
nei boschi circostanti, durò fino al 1940 mentre azioni simili sono state effettuate
in tutte le regioni, come la famosa AB-Aktion
a Cracovia). Sulle liste di proscrizione della Gestapo, preparate
prima della guerra, c’erano 160 mila polacchi.
Conseguentemente
a Radegast furono trattenuti i
giovani di Lodz arrestati in una retata e poi deportati nel campo di
concentramento di Dachau. Il campo Radegast
fu protagonista anche dell’ultimo cruento atto di guerra: nel gennaio 1945, la
notte prima della liberazione della città, furono bruciati vivi tutti i 1500
prigionieri, in prevalenza maschi adulti polacchi.
A
Litzmannstadt esisteva anche il Campo
di concentramento per i bambini polacchi. In maggioranza erano gli orfani dei
genitori polacchi mandati nei campi di lavoro, concentramento e sterminio.
C’erano i figli dei prigionieri politici polacchi (chiamati terroristi) ed
anche i cosiddetti “bambini di Zamojszczyzna”,
vittime delle deportazioni forzate dai territori oggi confinanti con l’Ucraina,
luoghi della prima colonizzazione nazista secondo la teoria di Lebensraum.
Sono stati almeno 30.000 i “bambini di Zamojszczyzna”, strappati ai genitori, germanizzati
o mandati a morire. Questo crimine fu giudicato anche nel processo di
Norimberga.
Secondo
le stime dell’Istituto Polacco della Memoria (IPN – Istituto della Memoria
Nazionale), nel periodo dell’occupazione nazista sono morti 2.770.000 polacchi
di cui: 506.000 sterminati nelle esecuzioni di massa e nelle camere a gas; e
1.146.000 deceduti nelle prigioni o nei campi di concentramento, smistamento o
lavoro, a causa di: torture, esecuzioni, percosse, fame, malattie o lavoro debilitante.
I più importanti campi di concentramento PER I POLACCHI furono: Übergangslager in
Hohensalza (Inowroclaw), Durchgangslager für polnische Zivilgefangene in Soldau
(Działdowo), Internierungslager Gotenhafen (Gdynia), Übergangslager
Danzig-Victoria (Gdańsk), Zivilgefangenenlager Stutthof (Sztutowo), Internierungslager
Bromberg (Bydgoszcz).
In quello più conosciuto
in Italia, Campo di
concentramento di Soldau, sono
morti anche due vescovi polacchi: Antoni Julian Nowowiejski e Leon Wetmanski. Un gruppo di 728
prigionieri politici polacchi provenienti da Tarnów furono i primi deportati ad
Auschwitz il 14 giugno 1940. Bisogna anche ricordare
che gli esperimenti pseudo medici nei campi di concentramento situati nel Terzo
Reich, erano condotti in prevalenza su prigionieri polacchi (a Ravensbruck
alle giovani donne polacche si asportava una parte delle ossa delle gambe).
Prima
della seconda guerra mondiale in Polonia abitavano 3.460.000 ebrei. Dal XIII secolo fino alla terza spartizione della Polonia (1795)
il mio paese aveva la fama dello stato più tollerante d’Europa, dove gli ebrei
perseguitati altrove, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Ungheria, Austria,
potevano trovare protezione, libertà religiosa e condizioni favorevoli di vita.
Perché
oltre la metà degli ebrei europei nel 1939 viveva in Polonia? Questa domanda richiederebbe una risposta più lunga e articolata. Ma va ricordato
che il primo incendio di una sinagoga e il pogrom
contro gli ebrei nell'Europa cristiana
si sono verificati nell’anno 388 a Brescia, sotto la
guida del vescovo Filastro. Il
primo ghetto fu creato a Venezia nel 1516. Già
nel 1257 nello Stato Pontificio gli
ebrei furono costretti ad indossare
degli emblemi distintivi (cerchi gialli per gli uomini e strisce blu per le donne). Durante il carnevale nel
Medio Evo a Roma il punto forte erano
i Giochi di Agone a Testaccio, che prevedevano
che i contendenti si sfidassero a cavallo di ebrei nudi rastrellati
nel ghetto.
La
mia città natale, Lodz, si sviluppò e prosperò grazie alla convivenza culturale
ed etnica di polacchi, ebrei, tedeschi e russi.
Il
primo ghetto, inteso come “quartiere ebraico chiuso”, creato dagli occupanti
nazisti sul suolo polacco, fu quello della vicina città Piotrkow Trybunalski l’8
ottobre 1939. Il Litzmannstad Getto fu istituito
come secondo l’8 febbraio 1940 e, dopo il ghetto di Varsavia, fu quello più
grande e funzionò più a lungo. Il ruolo di presidente del Judenrat (Consiglio Ebraico) fu ricoperto da
Mordechai Chaim Rumkowski, chiamato da Primo Levi nel suo libro “I sommersi
e i salvati” Re dei Giudei. Qualche anno fa come curatore ho organizzato a Roma
una mostra fotografica sui bambini del ghetto di Lodz, nella
quale, attraverso le fotografie di Mendel Grosman e Henryk Ross (custodite
nell’Archivio Statale di Lodz e che per la prima volta sono uscite dalla Polonia), è stato raccontato il capitolo più triste di questa storia: la così detta “grande retata” del 4 settembre del 1942,
quando Rumkowski sacrificò 15 mila persone tra vecchi, malati e bambini sotto i
10 anni, che furono gassati e bruciati nel campo di sterminio di Kulmhof am Ner. Per quella mostra ho
ricevuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
oltre a quello della Regione Lazio, della Provincia di Roma, del Comune di Roma
e della Comunità Ebraica di Roma.
Ho
visitato il campo di Kulmhof
am Ner nel settembre scorso, con il vicesindaco e
il rabbino di Lodz, i sopravvissuti del Litzmannstadt
Getto e i loro parenti. L’orrore di quel posto è agghiacciante e inimmaginabile.
E’ una radura vuota tra i boschi, che nasconde le ceneri di quasi 300 mila
corpi umani. Qui furono sterminati, oltre agli ebrei di Lodz e di altri stati
d’Europa (Austria, Belgio, Francia, Olanda, Ungheria), anche “i bambini di Zamojszczyzna”, gli zingari (rinchiusi
in un campo di concentramento a Litzmannstadt),
soldati sovietici, malati mentali polacchi (continuazione dell’Aktion T-4), religiosi polacchi e
probabilmente un gruppo di bambini cechi. Il campo di Kulmhof, situato a 70 chilometri da Lodz, fu creato nel novembre
del 1941 e cominciò a funzionare come primo campo di sterminio nazista nel
territorio della Polonia occupata, annesso
direttamente al Terzo Reich,
ancor prima della Conferenza di Wannsee, dove fu varata “la soluzione finale”. Dopo
la suddetta conferenza, nell’ambito
dell’operazione Reinhardt, nei territori polacchi sotto il Governatorato Generale furono costruiti altri tre campi
di sterminio: Sonderkommando Belzec der Waffen-SS,
SS-Sonderkommando Treblinka, SS-Sonderkommando Sobibor. Nel
mio “pellegrinaggio" ho visitato già diversi campi di concentramento
e di sterminio nazisti realizzati nella Polonia occupata, e
che oggi sono diventati santuari di memoria.
A Lodz nacque anche Jan Romuald Kozielewski, noto come Jan Karski. Era un
ufficiale della resistenza polacca (Esercito Nazionale), finito diverse volte
nelle mani degli occupanti, prima dei sovietici e poi dei nazisti, al quale
furono affidate le missioni di spionaggio e di collegamento con il Governo Polacco
in Esilio e poi importanti missioni diplomatiche all’estero per informare il
ministro degli esteri britannico Antony Eden e il presidente degli Stati Uniti
Franklin Delano Roosvelt sulla tragedia degli ebrei
in Polonia e chiedere il loro aiuto. I “Rapporti di Karski” furono la prima
fonte d’informazione sull’Olocausto nazista in atto.
Il
10 dicembre 1942 fu preparata la nota diplomatica ufficiale del ministro degli
esteri del governo polacco in esilio Edward Raczynski sulla situazione degli
ebrei nei territori occupati, basatasi sul rapporto di Karski e mandata ai
governi membri dell’ONU.
Nel
campo di Auschwitz per tre anni fu imprigionato Witold Pielecki, responsabile della
formazione di una cellula di opposizione polacca (ZOW). Si fece arrestare
volontariamente nel 1940, la sua evasione fu organizzata con successo nel 1943.
Pielecki preparò tre rapporti sull’Olocausto. In questo campo funzionava una
cellula di 1.000 persone formata da lui, pronta alla rivolta nel caso di aiuto
dall’esterno.
L’insurrezione
del ghetto di Varsavia dell’aprile 1943 ebbe l’appoggio del governo londinese del
generale Sikorski, ma fu soffocata dai nazisti nell’assoluta indifferenza del
mondo. Per protesta, Shmuel
Zygielbojm, membro del Consiglio
Nazionale in Esilio, delegato del partito Bund (Unione Generale dei Lavoratori
Ebrei), si suicidò con il gas il 12 maggio 1943 a Londra.
Infine
bisogna ricordare che anche l’insurrezione di Varsavia del ‘44, che costò la
vita di 200 mila civili polacchi e la perdita del patrimonio culturale della
capitale, non poté contare su alcun aiuto.
Durante la seconda guerra
mondiale la Polonia ha subito le più gravi perdite
e danni demografici tra tutti gli
stati occupati.
Sia il Terzo Reich, sia l'Unione Sovietica, hanno praticato nei confronti dei cittadini polacchi lo sterminio e
il genocidio, la politica di
snazionalizzazione, la distruzione
biologica e culturale, le espulsioni di
massa, la riduzione in schiavitù attraverso il lavoro
forzato e il reclutamento coatto
nei loro eserciti.
Non c'è
famiglia polacca che tra il 1939 e il 1945 non subì una qualche persecuzione. Ad esempio, la mia famiglia da parte del nonno
paterno fu sfrattata a forza dalla casa situata nel territorio sul quale fu
istituito il ghetto di Lodz, e il nonno venne arrestato in occasione di un rastrellamento e mandato ai lavori forzati in Germania.
Le cifre dell’Olocausto
tuttora non sono certe. Si stima che le vittime della Shoah siano tra i 5 e i 6
milioni, di cui 3,5 milioni di ebrei polacchi (per la precisione il 90% della
popolazione di religione ebraica esistente nei territori polacchi
nel 1939). Ma lo sterminio nazista toccò tutte le popolazioni
delle regioni orientali europee occupate, ritenute "inferiori", e
include quindi cittadini di diverse nazioni (spesso
anche bambini), prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici,
etnie (quali Rom, Sinti, Jenisch), testimoni di
Geova, pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di
handicap.
Si
può discutere
dell’antisemitismo polacco sfociato tra le due guerre e delle sue radici
culturali e religiose, del deturpamento morale di una nazione decapitata
attraverso lo sterminio della sua classe intellettuale e politica, vissuta nel
terrore nazista. Si può parlare dei casi di pogrom avvenuti durante la guerra (come quello di
Jedwabne del 1941), e dopo la guerra (come quello di Kielce del 1946). Bisogna riflettere sulle circostanze
favorevoli allo svolgimento dell’operazione Reinhardt nei territori polacchi e sul ruolo della “zona grigia” che
comprendeva i Volksdeutsche (persone che hanno rinnegato la nazionalità
polacca e assunto quella tedesca), gli ebrei polacchi, i
polacchi che denunciavano, vendevano o ricattavano gli ebrei per ragioni
economiche. Le controversie possono riguardare i casi di
collaborazione della polizia polacca con
nazisti e l’impiego dei ferrovieri polacchi nei convogli della morte; di sciacallaggio
dei beni delle vittime e poi anche dei luoghi dello sterminio. Ci si può rammaricare per la
custodia inadeguata dei luoghi della memoria per mancanza di fondi. Il problema
odierno è costituito dal linguaggio dell’odio e dagli
atti vandalici a sfondo antigiudaico.
Ma
non si può aggravare la confusione già esistente
sulla storia dell’Olocausto attraverso l’utilizzo
(inconsapevole o voluto) di espressioni
erronee quali “lager polacco” o “campo di sterminio polacco”, perché ciò
costituisce un grave e pericoloso errore che deforma la verità storica sullo
sterminio perpetrato dallo stato nazista tedesco sul territorio occupato della
Polonia e che insinua il dubbio sulle responsabilità dello stesso, offendendo
così la memoria dei cittadini polacchi, che furono le vittime del nazismo.
Agnieszka
Zakrzewicz,
giornalista
polacca, membro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia
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